La Div. Piacenza era schiarata a scimitarra approssimativamente di fronte alla Granatieri, organizzata su una serie di caposaldi non collegati tra loro e quindi facilmente disarticolabili una volta individuati sul terreno dal nemico.
Alle ore 22:00 la Divisione subisce l’attacco dei paracadutisti della 2^Divisione che si muovono rapidamente attaccando di sorpresa i numerosi caposaldi articolati con andamento pressoché parallelo alla costa dal Tevere ai Colli Albani (Velletri, dove era posto il Comando divisionale). All’alba del 9 lo schieramento della Divisione era completamente annientato; in alcuni casi le postazioni erano cadute senza sparare un colpo, in altri l’irruzione era stata condotta usando la parola d’ordine (Caposaldo del Risaro alle ore 01:00). Il presidio di Albano Laziale (Col. Tundo – 111° Regg. Fanteria) resiste per oltre due ore prima di capitolare, il caposaldo “Cesta” presso la Stazione di Cecchina resiste fino alle ore 10:00 del 9 settembre. Il disfacimento della Piacenza ha gravi conseguenze: i paracadutisti tedeschi piombano indisturbati edi sorpresa sui caposaldi della Granatieri mettendo fin dall’inizio sotto grave pressione lo schieramento italiano.
Il comando del reggimento Artiglieria della Divisione Piacenza (37° reggimento artiglieria e 28° reggimento artiglieria "Monviso"), era acquartierato presso l'edificio che ospitava le scuole elementari, attuale sede comunale. Per il vitto i militari si recavano nella vicina trattoria Petrucci, sulla piazza della "Portella". La sera dell'8 settembre, dopo aver appreso la notizia dell'Armistizio, gli artiglieri avevano collocato una rice-trasmittente sopra il pontiletto di ingresso alla scuola, a destra della facciata di San Nicola, chiedendo alle gerarchie militari di Roma istruzioni su cosa fare, ma invano. Erano previste, infatti, reazioni da parte dei tedeschi e la popolazione si era mostrata favorevole a collaborare con i militari, inviando una commissione a discuterne con il comandante.All'alba del 9 settembre, un camion con circa 15 soldati tedeschi scese lungo il corso, accompagnata da paracadutisti appena atterrati nei boschi a monte verso Rocca di Papa. Alcuni soldati italiani si stavano lavando in piazza alla "Fontana della Bella Flora" e furono sorpresi dai nemici che cominciarono ad aprire il fuoco; si nascosero dietro un mezzo militare, ma lo scontro fu durissimo: varie camionette cominciarono a bruciare, compreso un soldato italiano morto a terra.Dopo la camionetta arrivò un autoblindato che si fermò a piazza Agostino Chigi, sparando verso le finestre della scuola; una cannonata indirizzata al portone di Palazzo Primoli (Palazzo Bianchi), lesionò la muratura sulla sinistra. Dopo alcuni minuti di scontro a fuoco i soldati italiani alzarono la bandiera bianca arrendendosi. Nel combattimento persero la vita quattro italiani e due tedeschi, uno dei quali fu ucciso con una fucilata da un ariccino mentre scendeva lungo il Corso Garibaldi; il corpo esamine dell'altro si trovava a terra lungo il marciapiedi di fronte al Comune, sul lato opposto della strada.
La fotografia descrive proprio il momento immediatamente successivo alla resa degli italiani e alla loro cattura. Sulla sinistra la facciata del vecchio municipio con in primo piano due paracadutisti tedeschi, un ufficiale italiano (probabilmente il comandante) e tre ufficiali tedeschi di spalle, al centro la chiesa di San Nicola, la "Fontana della Bella Flora" e, sulla destra, il gruppo di militari prigionieri. E ben visibile il fumo e il fuoco delle camionette incendiate, mentre sopra una camionetta al centro sono riversi i corpi dei soldati rimasti uccisi.
Nell'archivio parrocchiale della Collegiata dell'Assunta c'è la registrazione del decesso dei quattro italiani, avvenuto alle sei di mattina "per arma da fuoco" e "sulla pubblica via", effettuata dal parroco monsignor Lorenzo Sordini. Si trattava di Angelo Maggi, trovato "morto nel suo sangue" (nato a Milano, il 31 dicembre 1912 da Battista e Genoeffa Ubaldi), Riccardo Robbetto (nato a Racconigi, il 7 febbraio 1916, da Domenico e Francesca Di Tesio), Luigi Bogetti (nato a Fossano, Cuneo, il 10 ottobre 1911, da Pietro e Agnese Cagliero), Benedetto Leoncini (nato a Pontedera, il 7 gennaio 1911 da Carlo e Olga Bigini). Dopo le esequie i corpi furono temporaneamente inumati nel cimitero comunale, per essere trasferiti, finita la guerra, nelle località di origine, mentre i corpi dei tedeschi vennero subito portati via dai loro commilitoni
La moglie del sergente maggiore Leoncini, Erina Bozzelli, venne ad Ariccia dopo la liberazione, allo scopo di visitare il cimitero, conoscere i luoghi ove era vissuto il marito nell'ultimo periodo della sua vita e le persone con cui era venuto a contatto. In alcune lettere Leoncini decantava la bellezza del luogo e la simpatia della gente, proponendo alla moglie un trasferimento ad Ariccia; era, infatti, entrato in amicizia con Tullio Saltarelli, figlio di "zi' Nino" gestore del locale forno e con Alfredo Petrucci, figlio dei proprietari della trattoria; la sera dell'8 settembre era stato a cena a casa dei Saltarelli, rifiutando l'invito e le pressioni ripetute di uzi' Nino" a non tornare in caserma in previsione di quello che sarebbe accaduto il giorno dopo; il sottufficiale rispose perentoriamente: "Non sono mica un disertore". Nel 1946 la vedova di Leoncini avrebbe sposato proprio Tullio Saltarelli.