Tratto da www.corriere.it
Un grande giornalista ricorda l'8 settembre 1943.
La cerimonia dei rinvii e le crêpes Suzette per il generale Taylor
Le manifestazioni di gioia della gente, i soldati alla ricerca di abiti civili, le trame di palazzo.
L' 8 settembre 1943 era una giornata afosa, il cielo terso faceva pensare all'estate che moriva e alla possibilità di incursioni aeree. Radio Londra, nel tardo pomeriggio, diede l'attesa notizia:
l'Italia aveva chiesto l'armistizio. Si riempirono subito le strade: «È finita, è finita». C'erano militari che buttavano via le giberne e donne che ballavano sotto i portici di Bologna baciandosi
istericamente. Assistei al dialogo tra un dimostrante e un ufficiale. Diceva il dimostrante: «Io mi sento libero. Me ne dà il diritto lo statuto albertino». E l'ufficiale: «Io invece ne ho pieni i
coglioni. Vado a spasso». Poi cominciarono la fuga dalle caserme e il rastrellamento dei tedeschi. Molti si salvarono perché furono aiutati dalle suore di clausura di un convento che confinava con il
deposito. O anche dalle ragazze dei casini. Tutti offrivano camicie e pantaloni borghesi, e sotto si vedevano le scarpe chiodate. Gli autocarri della Wehrmacht scaricavano prigionieri disarmati sul
prato del Littoriale.
Il generale americano Maxwell Taylor mi raccontò l'allucinante viaggio che fece a Roma, alla vigilia dell'8 settembre. Comandava una divisione aviotrasportati (l'ottantunesima) e doveva prendere
contatti con i nostri comandi. Sbarcato da una nave italiana a Gaeta era stato portato a Roma in ambulanza percorrendo la via Appia. «Eravamo in tre - mi disse -. Erno Maggiori, che era l'ufficiale
comandante il servizio segreto della nostra Marina, il colonnello Gardner ed io. Viaggiando avevamo la possibilità di osservare che cosa stava succedendo soltanto da un finestrino laterale. Man mano
che ci avvicinavamo, si vedevano sempre più soldati tedeschi. La città appariva assolutamente normale, le strade erano tranquille. Siamo stati portati a Palazzo Caprara, dove avremmo dormito.
L'incontro era fissato per il mattino seguente. Non ci aspettavamo questo programma, perché sapevamo bene quanto era urgente la nostra missione. Lo sbarco avrebbe dovuto avvenire soltanto due giorni
dopo, il 9. Di conseguenza insistemmo perché il generale Badoglio ci ricevesse subito, in modo da discutere insieme la situazione. Non ci fu niente da fare. Anzi ci condussero in una sala dove
troneggiava una tavola splendidamente preparata e ci servirono una cena pantagruelica fatta venire dal Grand Hotel. Pensi, c'erano perfino le crêpes Suzette! Carboni ci raggiunse dopo cena e noi
dovevamo tentare di fargli capire la nostra grande fretta. Io insistei per vedere il primo ministro Badoglio. La visita venne finalmente concordata telefonicamente abbastanza in fretta. Salimmo su
un'auto e attraversammo Roma per raggiungere la residenza del maresciallo».
Il marchese del Sabotino, sconvolto per il brusco risveglio, si presentò in vestaglia da camera, anche se quelli dello stato maggiore avevano lottato perché si infilasse brache e giubba
regolamentare. «Mi resi conto - disse Taylor - che non sapeva che entro quella giornata - ed erano ormai le due del mattino dell'8 settembre - gli Alleati si aspettavano che annunciasse la cessazione
delle ostilità».
Otto settembre: Mussolini prigioniero in un albergo sul Gran Sasso, a Campo Imperatore. Chiacchiera con Adolfo Nisi, che gli racconta le predizioni di una cartomante: «Duce, sarete liberato in
circostanze avventurose». Il Duce si arrabbia: «Voi e le vostre profezie; vi state prendendo gioco di me».
Sono quasi le 8 di sera. Si fa buio. Il re e la regina hanno appena lasciato Villa Savia. Un'automobile varca il portone del ministero della Guerra, in via XX Settembre. Ne scendono Vittorio Emanuele
III che indossa la divisa grigioverde ed Elena che porta un abito molto lungo e ha in testa un curioso cappellino tondo. Il re le dà il braccio, salgono le scale, attraversano stanze e saloni. Si
rifugiano nell'appartamento destinato al ministro. Vittorio Emanuele critica i mobili che non sono di suo gusto. Siedono in salotto, vicini. Elena passa un braccio attorno al collo di questo piccolo
uomo stanco, dagli occhi freddi. Restano così, in silenzio, al buio. È l'ultima notte che trascorrono a Roma. Domattina, 9 settembre 1943, si metteranno in viaggio per Pescara. Fine di un regno.
Enzo Biagi