Tratto da www.corriere.it
L'inedita, lacunosa ricostruzione del capo del governo
L'autodifesa di Badoglio: «Colpa di Eisenhower»
La lettera, «strettamente confidenziale», fu inviata a Paulucci di calboli, ambasciatore a Madrid, il 16 ottobre 1943.
Il maresciallo Pietro Badoglio aveva settantadue anni Pietro Badoglio quando fu nominato capo del governo dopo il colpo di Stato del 25 luglio 1943. Il Maresciallo d’Italia cercò sempre di avallare
l’idea di essersi sacrificato - lui ormai anziano e alieno da ambizioni politiche - per il bene del Paese e per odio verso i tedeschi. Falcone Lucifero, non ancora ministro della Real Casa, annotò
nel diario, il 15 e 16 febbraio 1944, i primi incontri con lui: il capo del governo, per convincerlo ad assumere l'incarico di ministro dell'Agricoltura, portò a esempio se stesso, un militare
ultrasettantenne che aveva «sacrificato tutto per cacciare i tedeschi dall'Italia», aveva «perduto la sua fortuna personale» rimasta oltre le linee e, lasciando Roma, si era ritrovato con un
fazzoletto in tasca. Anche nella lettera inedita che pubblichiamo Badoglio ribadisce il concetto di essere stato «comandato ad assumere il potere». La lettera, in data 16 ottobre 1943, fa parte delle
carte private di Paulucci di Calboli e apparirà nel prossimo fascicolo di Nuova storia contemporanea , insieme ad altri documenti, in appendice a uno studio di Giovanni Tassani sul ruolo
dell'ambasciata italiana a Madrid dopo l'8 settembre 1943. Si tratta di un documento che sintetizza gli avvenimenti dei quali Badoglio fu protagonista e rivendica orgogliosamente il ruolo da lui
svolto.
Il destinatario, Giacomo Paulucci di Calboli, era stato chiamato da Mussolini all'inizio del 1943 alla guida della strategica ambasciata spagnola, ma, dopo la costituzione della Repubblica sociale,
quando lo stesso Mussolini lo aveva chiamato al telefono per proporgli di fare il ministro degli Esteri («Paulucci, ho bisogno di voi»), questi aveva rifiutato rimanendo fedele a una scelta di campo
già decisa. Proprio a Paulucci di Calboli toccò l'incarico di provvedere alla notifica all'ambasciatore tedesco a Madrid della dichiarazione di guerra dell'Italia nei confronti della Germania il 13
ottobre 1943.
Nella lettera che pubblichiamo, «strettamente confidenziale», il capo del governo aveva sentito il bisogno di fare a Paulucci «un po' di storia degli avvenimenti» che - a partire dalla caduta del
fascismo, passando per le trattative con i tedeschi, prima, e con gli angloamericani, poi, fino a giungere all'annuncio dell'armistizio e all'abbandono di Roma - avevano condotto alla situazione
attuale.
Quella raccontata dal capo del governo era una storia sommaria, con molte inesattezze e omissioni, che glissava sui particolari e attribuiva alla «mossa» di Eisenhower di annunciare l'armistizio la
responsabilità della situazione che si era venuta creando dopo l'8 settembre.
Che Badoglio sia stato, nel bene e nel male, il protagonista delle iniziative diplomatiche per condurre l'Italia fuori dal conflitto è fuor di dubbio. Ma queste furono portate avanti all'insegna
della confusione, dell'incertezza e della contraddittorietà. Già il proclama diffuso dopo l'insediamento come capo del governo, con l'infelice frase: «la guerra continua», dette l'impressione di un
espediente per guadagnare tempo e organizzare un armistizio con gli angloamericani. Poi, i contatti con i tedeschi per far digerire loro l'idea di un'uscita dell'Italia dalla guerra in cambio della
neutralità e del passaggio graduale del controllo alle forze del Reich del fronte nei Balcani e in Grecia mostrarono un forte velleitarismo. Infine, gli stessi abboccamenti con gli angloamericani -
con un accavallarsi di iniziative affidate a diplomatici di secondo livello o a privati - furono effettuati in modo da non assicurarsi la fiducia piena degli Alleati.
Quando venne firmato a Cassibile l'«armistizio breve», i rappresentanti Alleati tirarono un sospiro di sollievo temendo che gli italiani, fino all'ultimo, potessero tornare indietro. Badoglio volle
mantenere le trattative nel segreto anche con i più stretti collaboratori. Neppure i vertici politici, militari e diplomatici ne furono a conoscenza. Il 3 settembre egli riunì i ministri militari per
comunicare non la conclusione dell'armistizio, ma l'esistenza di trattative. Un comportamento che autorizza a pensare che da parte italiana non fu abbandonata del tutto l'idea che, in difetto di uno
sbarco alleato tanto massiccio da costringere i tedeschi alla ritirata, sarebbe stato ipotizzabile sconfessare l'armistizio e riprendere la cooperazione con questi. Un comportamento ambiguo che
irrigidì gli Alleati e li spinse a rifiutare la richiesta di posticipare l'annuncio dell'armistizio già deciso per l'8 settembre alle 18,30. Un messaggio di Eisenhower non lascia spazio a dubbi: «Ho
deciso di diffondere l'esistenza dell'armistizio all'ora programmata originariamente».
Il dramma dell'8 settembre sta tutto qui, nel gioco degli equivoci e nella ambiguità dei comportamenti. Ed è un dramma che finì per ricadere sulle spalle di tutta la nazione.
Francesco Perfetti, storico, direttore della rivista «Nuova storia contemporanea»