8 settembre 1943: le trattative per l' armistizio con gli Alleati, parla un protagonista di quei giorni: il generale Luigi Marchesi
" A Roma quel giorno vinse la paura "
" Fu tutta colpa di quel maledetto terrore dei tedeschi ", dice il vecchio testimone che nel ' 43 era giovane ufficiale diretto collaboratore del comandante supremo delle Forze Armate; e aggiunge " il generale Carboni avrebbe dovuto essere fucilato, altro che accusare Castellano "
Le trattative per l' armistizio con gli Alleati, la firma della resa, il successivo collasso, la mancata difesa della capitale E la famiglia reale che scappa. Dopo 50 anni parla un protagonista di quei giorni: il generale Luigi Marchesi TITOLO: "A ROMA OUEL GIORNQ VINSE LA PAURA" MISTERI D' ITALIA "Fu tutta colpa di quel maledetto terrore dei tedeschi", dice il vecchio testimone che nel ' 43 era giovane ufficiale diretto collaboratore del comandante supremo delle Forze Armate. E aggiunge "Il generale Carboni avrebbe dovuto essere fucilato, altro che accusare Castellano". Cinquant' anni dopo, il sipario nero dell' 8 settembre 1943 e' ancora strappato. Resta intera la sua oscura simbologia, paradigma della catastrofe nazionale. Per alcuni punto d' arrivo di una storia unitaria friabile e incerta, per altri punto di partenza di un riscatto collettivo rimasto forse incompiuto. La polvere del tempo si e' posata sulla cronaca e sulle polemiche. Lavorano gli storici ed e' di questi giorni la notizia che nuovi documenti sono stati acquisiti: ma e' dubbio che siano tali da riscrivere da capo una vicenda di cui il peggio e' gia' noto. Eppure, proprio perche' quegli eventi sono ormai cosi' lontani, acquista straordinario valore la testimonianza diretta di un protagonista di allora. Il generale Luigi Marchesi era, nel ' 43, un giovane maggiore degli alpini, "addetto alla persona" del comandante supremo delle forze armate, Vittorio Ambrosio. Come tale visse dall' interno tutti i capitoli della storia: le trattative per l' armistizio con gli alleati, la firma della resa, il collasso successivo, la mancata difesa di Roma, la fuga verso Pescara della famiglia reale e dei capi militari. Nel dopoguerra anche Marchesi ha avuto la sua dose di amarezze, pero' non si e' tirato indietro. Ha scritto, ha polemizzato, ha raccontato: contro Carboni, il comandante del corpo d' armata preposto alla difesa di Roma, suo nemico giurato; in difesa delle figure di Ambrosio, il suo superiore, e di Castellano, il generale che il 3 settembre firmo' l' armistizio nel paesino siciliano di Cassibile. Lui, Marchesi, quel giorno gli era accanto. E ora i suoi ricordi sono preziosi. Perche' la storia dell' 8 settembre e' anche una storia di volti, di situazioni. Ecco, generale, ci aiuti a rivedere i volti dell' 8 settembre... "Quello impenetrabile e immoto del re. Quello smarrito, disfatto di Badoglio. E Carboni che parla con voce tagliente, risentita, criticando l' esito delle trattative con gli alleati. Li rivedo uno ad uno il pomeriggio di quel giorno al Quirinale, nella sala del Consiglio della Corona, seduti intorno a un tavolo ovale. Ministri e capi delle tre armi. Nel complesso un gruppo di uomini che si sentivano inferiori al compito terribile che il destino aveva riservato loro. Il dado e' tratto, ma c' e' chi si rifiuta di accettare la realta' . Si vorrebbe rinviare, rinegoziare. Quando sento Carboni che dice assurdita' , che si preoccupa solo della reazione tedesca, mi ritrovo in piedi a parlare, a controbattere. Io che ero di gran lunga il piu' giovane e che ovviamente non facevo parte del Consiglio. Ambrosio aveva chiesto al re di farmi partecipare perche' avevo seguito da vicino tutta la fase delle trattative". Lei in quel momento ha di fronte la monarchia, lo Stato... "Il silenzio e' totale, cupo. C' e' chi si passa una mano sul viso, chi guarda fisso nel vuoto. Guariglia, De Courten, Sorice, Acquarone, gli altri. Sembravano ipnotizzati tutti da Carboni, che avrebbe voluto sconfessare il governo, buttare a mare l' armistizio gia' firmato a Cassibile cinque giorni prima. Io sostengo invece che quella sarebbe la via definitiva del disonore. Parlo, mi accaloro, non me ne rendo neanche conto... Quando finisco e' ancora il silenzio. Ora tace anche Carboni. Poi Guariglia, il ministro degli Esteri, dice che non abbiamo alternative, dobbiamo andare avanti. Il re si alza, il Consiglio e' finito". Altri volti, generale Marchesi... "Quello gioviale, franco, di Maxwell Taylor, il vicecomandante dell' 82 divisione avio trasportata americana, che arriva a Roma il giorno 7 con indosso un impermeabile borghese a coprire l' uniforme. Viene a mettere a punto il programma per il lancio su Roma dei paracadutisti e l' atterraggio della divisione. Si trova invece di fronte al rifiuto opposto da Badoglio e Carboni. Un errore mostruoso, la rovina dell' Italia. Con i soldati americani a Roma, il corso della guerra sarebbe cambiato. Non avremmo perso la citta' , avremmo risparmiato migliaia di vite. Questa era anche l' idea degli alleati e dopo la guerra Taylor me lo confermo' : "Abbiamo tenuto la divisione in preallarme per ore". Perche' quel rifiuto? "Paura. Una paura forsennata dei tedeschi. Badoglio era in preda al panico". Nel mondo militare la paura confina con la vilta' . "Preferisco parlare di paura. Se vuole anche di incomprensione della realta' , di incredibile disorganizzazione". C' e' chi dice che comunque Roma non sarebbe stata difendibile. "Lo so. Lo dice anche uno storico che stimo come De Felice. Ma io non sono d' accordo. Se fosse arrivata l' 82 divisione, la storia sarebbe stata un' altra. Invece abbiamo avuto il collasso. Il generale Carboni avrebbe dovuto essere fucilato per quello che ha fatto. Il suo comando e' mancato completamente". Invece Carboni, nel dopoguerra, ha trovato molti difensori... "Si' , perche' era un opportunista. Nei giorni della catastrofe aveva fatto distribuire un centinaio di fucili alla popolazione e poi ha saputo spendere bene questa carta". Pensa che Carboni, prima dell' armistizio, tenesse contatti con l' opposizione clandestina comunista? "Lo escludo". E Ambrosio? "Lo ricordo come un uomo integerrimo, severo. Un vecchio ufficiale piemontese d' artiglieria. Con una sola debolezza: la soggezione nei confronti di Badoglio. Si sentiva alle sue dipendenze e dimenticava che Badoglio in quel frangente era il capo del governo, non un comandante militare. Nei giorni precedenti l' armistizio avevo preparato per Ambrosio un appartamento clandestino a Roma. Di li' avrebbe potuto dirigere le operazioni. Questa era anche la sua intenzione. Invece...". Invece fini' anche lui nella gran ressa sulla via Tiburtina: tutti, il re in testa, di corsa verso Pescara. "Guardi, Ambrosio non voleva partire. Era contrario alle disposizioni di Badoglio perche' gli Stati Maggiori lasciassero Roma. Si piego' a un ordine diretto del re, all' alba del 9 settembre. Quando me lo disse piangeva". Ci fu una qualche forma di intesa coi tedeschi per favorire il transito del corteo reale? "Assolutamente no. Kesselring non avrebbe potuto assumersi una responsabilita' di questo genere". Scavi ancora nella memoria, generale. Cosa ricorda di Castellano, un nome che dopo la guerra fu divorato dalle polemiche? "Che ingiustizia... E pensare che l' Italia deve molto a questo ufficiale siciliano aperto e preparato, pieno di energia. Ci rendiamo conto di quello che ottenne Castellano dagli alleati? Eravamo un paese vinto, costretto alla resa. Castellano riusci' a strappare l' impegno a impiegare su Roma la divisione avio trasportata. E a porla addirittura sotto comando italiano, cioe' agli ordini di Carboni. Un miracolo. Non fu certo responsabile Castellano se poi il piano fu colpevolmente vanificato. Mi rivedo con lui a Cassibile, davanti alla tenda che ci ospita. Da Roma non arriva la delega alla firma dell' armistizio. Incertezze, ripensamenti... Puo' essere tutto. Noi siamo in piedi, sull' attenti. Davanti a noi, infuriato per il ritardo, e' il generale inglese Alexander. Il suo frustino freme, tradisce una furia appena repressa. Dice: dai campi dell' Africa del nord e' in procinto di decollare la piu' grande formazione da bombardamento della storia. Ci fa capire che l' obiettivo sara' Roma. Ma poi la delega arriva". Che cosa l' ha amareggiata di piu' ? "L' insinuazione, riecheggiata fino a oggi, che noi fossimo a conoscenza che l' armistizio doveva essere proclamato l' 8 settembre. O che sapessimo in anticipo dello sbarco di Salerno. Niente di piu' falso. Nessuno ci disse nulla. E il perche' e' chiaro: sospettavano di noi, non si fidavano. Per parte nostra, avevamo ipotizzato che l' armistizio sarebbe stato annunciato intorno al 12. L' anticipo, che ci venne annunciato da Taylor, fu una delle cause della disfatta". A cinquant' anni di distanza, il generale Marchesi non viene meno alla lealta' verso i suoi comandanti di allora. Eppure non e' difficile cogliere nelle sue parole una differenza di toni. La sua difesa di Castellano e' piu' ferma e calorosa di quella di Ambrosio. Nega che il re sia fuggito. In realta' , dice, il trasferimento nella zona non occupata dai tedeschi era indispensabile, previsto nelle clausole d' armistizio. Ma tutto il resto di cui fu testimone . il collasso, la dissoluzione dell' Italia . ha lasciato in lui una traccia profonda. Il senso delle parole di Marchesi e' : non ci fu tradimento, nei giorni tra l' 8 e il 10 settembre, ma ci fu il fallimento, l' epilogo di un' epoca. "Se mi chiede un' immagine emblematica del dramma le offro questa: noi tutti sul molo di Ortona nella notte sul 10. Non solo il re, con la regina e Umberto. Ma decine di generali e alti ufficiali che affollavano la banchina buia, ansiosi e smarriti, nell' attesa vana che arrivassero le navi a imbarcarli. Gli Stati Maggiori delle tre armi al gran completo". E poi, qual e' il seguito della storia? "E' il riscatto del nostro onore. Rivedo i miei amici inglesi Page e De Haan. Con loro costituii il reparto italiano che avrebbe collaborato con l' Intelligence Service. Un gruppo di ufficiali giovani, attivi. Rivedo il mio amico Edgardo Sogno, un uomo di coraggio eccezionale. Fu paracadutato in Piemonte e divenne il famoso comandante partigiano Franchi. Quando sento dire che il soldato italiano non sa combattere, io dico: non e' vero, solo quando e' mal guidato". Perche' lei lascio' l' esercito alla fine della guerra? "Perche' avevo visto e vissuto cose incredibili. Troppe. Perche' ero deluso. Perche' avevo voglia di dimenticare tante cose".