Tratto da www.corriere.it
In via Solferino suonò l’allarme: «Radio Algeri ha dato l’annuncio».
La giornata che doveva culminare con l’annuncio dell’armistizio era stata agitata, snervante. All’improvviso, verso le dieci, dieci e mezzo, l’ufficio intercettazioni fece suonare il campanello
d’allarme. Era un segnale convenuto per le notizie importanti. Il Corriere aveva installato una stazione radioricevente, potentissima, che oltre a intercettare dispacci era in ascolto ininterrotto
delle principali emittenti. Il «Servizio intercettazioni» aveva captato da radio Algeri la notizia che fonti qualificate davano per certo l’annuncio in giornata dell’armistizio. I redattori ebbero un
balzo. Mottola avvisò il direttore. Non potevamo svelare la fonte dell’informazione: dovevamo solo stare zitti e aspettare gli eventi. Da Roma nessuna notizia.
Quel giorno Janni aspettava Mario Borsa per offrirgli la direzione de La Lettura, il mensile che era stato diretto da Giacosa, Borelli, Radius, Simoni, Sacchi. L’incontro fu cordiale, affettuoso.
Borsa era stato il nostro candidato, Janni fu una scelta dei Crespi. Riaccompagnai Borsa in corso di Porta Nuova, e mi fermai da lui una mezz’ora. Tornai al giornale. In redazione c’era un grande
silenzio, molti posti vuoti. Chiesi a Francavilla: «Ci sono novità?». Convinto che ne fossi al corrente, rispose: «Nessuna, dopo la comunicazione dell’armistizio».
Mi sentii il cuore in gola. Non sapevo nulla, ma non volevo farmene accorgere, né dire della mia assenza in un momento così drammatico della vita del giornale. Tutto era accaduto mentre ero fuori.
Volevo darmi un contegno, ma sudavo. Per fortuna alle 18 e 30 radio Algeri, sede del quartiere generale alleato, diramò l’annuncio ufficiale. Mi sentii immediatamente liberato dalle mie paure e
finalmente alla pari con altri colleghi.
Cominciava una brutta sera. Anche tra noi, in redazione o nei corridoi, non riuscivamo a tradurre in parole l’emozione. Il direttore mi fece chiamare e diede il via per l’edizione straordinaria. Feci
listare il giornale a lutto, con una striscia nera molto vistosa, esattamente come quella dei manifesti che si usa ancora affiggere in alcuni paesi per annunciare il decesso di un congiunto. Nella
mia intenzione voleva significare l’annuncio di morte di una certa Italia. Come titolo a tutta pagina in caratteri corpo 90, solo la parola «Armistizio». Seguiva, sulle prime tre colonne, il
comunicato di Badoglio. La tipografia del Corriere si è sempre distinta per la sua frenetica operosità: quella sera sembrava elettrizzata. Dieci, dodici intorno alla pagina, come un' équipe
chirurgica al tavolo operatorio. A un certo punto Croce, il proto, mi chiese: «Afeltra, e il commento?». «Già», pensai, «un commento ci vuole». Non volevo disturbare il vecchio Janni che doveva
preparare il suo articolo. Non c'era altra via che seguire quell'istinto giornalistico che sorge spontaneo nell'atmosfera eccitata della tipografia e che spesso aiuta a risolvere i casi più
imprevisti. Presi la matita e scrissi: «Quattro novembre, otto settembre: due date, due ricordi. Una gloria, una vergogna». Nello scrivere quelle righe, agì forse in me il ricordo dell'infanzia
amalfitana, quando la celebrazione del giorno della vittoria era considerata una festa.
In prefettura il giornale fu censurato. Forse la striscia nera, del resto non insolita, forse il commento troppo crudo. Me ne tornai avvilito e in un certo senso bocciato. Attraversando la città,
vidi ovunque volti angosciati e commossi. Arrivato al giornale, andai a riferire al direttore e a scusarmi. Janni mi disse: «Lei non ha affatto esagerato. Anch'io listerò a lutto il giornale».
Il giorno dopo il Corriere pubblicava il messaggio di Badoglio incorniciato da due liste nere.
Gaetano Afeltra